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MILANO FASHION WEEK DOPO L’EMERGENZA CORONAVIRUS di Stefania Giacomini
Date: 26/02/2020
MODA
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MILANO FASHION WEEK DOPO L’EMERGENZA CORONAVIRUS di Stefania Giacomini
Milano fashion week. "Dopo l’emergenza coronavirus" - dice Mario Boselli a Goodinitaly webtv -  "si potrà pensare ad un ritorno in Italia di produzione nel tessile e moda"

Ci ricorderemo di questa edizione di Milano Fashion Week autunno inverno  per le defezioni di un migliaio di buyer

e giornalisti cinesi, per alcune sfilate a porte chiuse per questioni di sicurezza sanitaria a causa del Coronavirus. Ancora è presto per fare bilanci ma sarà senza dubbio pesante per mancati fatturati che in qualche modo si è cercato di fronteggiare con l’iniziativa della Camera Nazionale della Moda italiana “China we are with you” un "ponte" con il Paese che ha permesso a giornalisti e addetti al settore cinesi e di altre nazionalità assenti per il coronavirus , di partecipare in maniera virtuale a sfilate, eventi, presentazioni in streaming. In questo caso le nuove tecnologie sono venute in soccorso.
"Siamo i primi a farlo - spiega il presidente della Camera della Moda Carlo Capasa - ma è una iniziativa aperta ad altre settimane della moda e ad altre manifestazioni".
E dunque anche il ‘re Giorgio’( Giorgio Armani) “ per non esporre ad alcun rischio la salute degli ospiti “ ha presentato il suo show a porte chiuse, lo ha registrato e trasmesso in streaming. Decisione presa anche da Lavinia Biagiotti che ha sfilato con il Piccolo Teatro Studio vuoto ed è stata annullato l’evento di Moncler Genius.
Certo dopo l’annuncio del focolaio scoppiato in Lombardia probabilmente ha convinto molti addetti ai lavori ad anticipare la partenza da Milano che comunque ha registrato molte presenze nei primi giorni nonostante l’assenza dei colleghi cinesi.
Tra chi non ha rinunciato al pubblico tanto per citarne uno, è stato Alessandro Michele, lo stilista romano capace di risollevare le vendite del marchio Gucci e di renderlo onnipresente sui red carpet .La sua presentazione è stata un ‘carillon’ che ruota su se stesso con una overdose di stili, colori e fantasie. Una sorta di back stage, formula che non è nuova: ricorda la proposta, in versione meno sfarzosa, della romana Susanna Liso per le Tartarughe in edizioni passate di Alta Roma al Nuovo Auditorium nella capitale.
A dispetto di defezioni non solo cinesi ma anche di americani e taiwanesi, i milanesi della moda non si sono fatti scoraggiare. Gli showroom internazionali, che la città meneghina conta in maggior concentrazione, si sono attrezzati per raggiungere la Cina virtualmente: Riccardo Grassi, titolare dell’omonimo show room a Milano e a Parigi, ha fatto mandare foto dei capi attraverso video chat per mostrare capi indossati in una stanza ad hoc .

Anche il Micam, salone mondiale delle calzature, ha registrato un calo di presenze: per lo più cinesi per il coronavirus ed inglesi per le difficoltà nei trasporti, dicono gli organizzatori. Bisogna vedere i bilanci delle altre fiere dell’abbigliamento: The One, Super e White, a quest’ultimo, (generalmente conta 500 mila espositori) sembra non ci siano registrate disdette.
Le conseguenze dell'emergenza legata alla diffusione del Coronavirus stanno impattando sul settore moda.
In chiusura della Milano Fashion Week in conferenza stampa il presidente Ennio Capasa, ha letto alcuni dati allarmanti sul fatturato moda: si prevede un calo notevole. Per la prima volta un primo trimestre negativo al -1,5%. Il settore subisce il rallentamento fortissimo della Cina". Un effetto che potrebbe portare fino a un -1,8% in meno di fatturato.
Ma quando l'emergenza coronavirus sarà finita?
“Non si potrà fare molto sul breve e medio termine sul fronte delle vendite verso la Cina “
- dice Mario Boselli a GoodinItaly WebTv, presidente dell’Istituto Italo Cinese e presidente onorario della Camera Nazionale della Moda – “ma il discorso cambia sul fronte degli approvvigionamenti e degli acquisti di tessile e manifattura moda. Si potrebbe riportare la produzione entro i confini nazionali abbandonando la delocalizzazione e salvare i nostri artigiani e dipendenti del tessile moda italiano” Dunque questa crisi potrebbe avere conseguenze positive sebbene con un margine di guadagni più basso per chi pur dichiarando il suo prodotto ‘made in Italy’ delocalizza, grazie a leggi comunitarie che lo consentono.
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