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AL DI QUA DEL CORONAVIRUS

COVID BOLERO – NOTE DI CORAGGIO
di Emilio Sturla Furnò   esponsabile Comunicazione Interflora
Lettura consigliata con il sottofondo del Bolero di Maurice Ravel



Overture. Pianissimo. La strada è incredibilmente muta ed assolata. Il tamburo e gli archi pizzicati battono il tempo. Il suono di un flauto solitario è al centro di una scena irreale.
Vie deserte, negozi chiusi, parchi interdetti. L’ora della passeggiata ristretta nei dintorni di casa - nel pieno della Primavera Covid 19– inizia col ritmo esotico del Bolero di Maurice Ravel, che ascolto attraverso gli auricolari. A passo lento, esco allo scoperto sulle note sensuali che il grande compositore francese dedicò alla ballerina Ida Rubinstein nel 1929. La scelta è avvenuta per caso; uno sbaglio mentre digitavo il brano da ascoltare durante la mia promenade concessa dal Governo durante la quarantena. Nulla avviene per caso. L’errore di playlist si prospetta subito molto stimolante.
Basta poco per sentirsi, all’improvviso, padroni della città.
Fa caldo. La bella stagione è arrivata precoce. Le giornate si sono allungate e preludono ad un’estate fatta di divieti e di nuovi tormentoni. Contenimento e distanziamento: parole che divengono improvvisamente usuali. Mascherina e disinfettante: oggetti introvabili ed indispensabili perché ogni azione sia protetta e sicura.
Il ritmo ossessionato del tamburo sembra tenere il conto delle persone che ogni giorno se ne vanno a causa della pandemia. Le notizie sono sconfortanti. Siamo sempre più connessi ed informati, ma ne sappiamo sempre meno. Si combatte con un nemico nuovo ed invisibile. I nostri soldati sono armati di camice e mascherine, mentre la politica non smette di litigare. Ogni giorno siamo appesi al bollettino degli esperti.
Eppure, la Natura non vuole fermarsi. L’Inverno si trasforma sempre in Primavera, dice un antico motto orientale. Le piccole foglie verdi ricoprono i rami secchi degli alberi. I tulipani piantati in giardino lo scorso autunno, svettano con le loro corolle variopinte verso il sole. Gli uccellini si chiamano a vicenda da un ramo all’altro, ignari di un qualsiasi pericolo. Il male appare così lontano mentre la musica accompagna il mio passo nel silenzio di un quartiere assopito.
L’oboe e il clarinetto si intrecciano. Affiorano i ricordi di quando ero bambino. Le immagini si sovrappongono tra passato e presente, mescolate tra loro come le vecchie foto del grande cassetto in salotto, riordinate prima di uscire. Ecco nonna Sylvia ritratta nella casa di Chiavari, mentre innaffia i gerani e le ortensie rigogliose nella terrazza affacciata sul golfo. I primi passi timidi vicino a mia madre. I primi amori adolescenziali, così intensi e così devastanti. L’album di famiglia racconta momenti meravigliosi ed indimenticabili. Gioia e dolore si alternano negli scatti di un morbido bianco e nero che ritraggono i nonni giovanissimi durante la guerra. L’infanzia a colori nelle fotografie assieme ai cugini in campagna. I giochi in spiaggia con i compagni di scuola. Le conquiste nella grande città. La melancolia è cullata dai fiati della sinfonia ripetitiva che incalza.
Cammino lento e mi interrogo: valeva la pena essere così arrabbiati quel giorno? Insoddisfazione e rancore erano davvero necessari? Quando ci sentiamo minacciati è facile reagire con arroganza o aggressività. Quando qualcuno ci ferisce, siamo pronti a ferire a nostra volta. La marcia prosegue sinuosa. Il tempo non torna indietro. Guardiamo avanti, mi dico. Questo momento difficile deve per forza portare alla scoperta di nuove alternative, di una nuova saggezza.
Entrano le trombe, maestose e travolgenti come i grandi pini che fanno ombra sul viale. Nella strada silenziosa e assolata si allunga il serpentone di uomini e donne di fronte all’ingresso del supermercato, nel rispetto della distanza di sicurezza. La fila è lunga, mesta, nevrotica. Siamo tutti potenziali untori di un virus invisibile e sconosciuto, borbotta qualcuno. C’è chi tenta di sorridere al di sotto della mascherina, ma non viene capito. Chi si lamenta e sbuffa. Chi richiama all’ordine. Chi si commuove guardando una bambina che gioca con il suo cagnolino nel balcone di casa. Chi canticchia l’inno nazionale e spera.
E’ successo tutto troppo in fretta per abituarsi. Le ombre di quelle persone in fila sembrano le note dello spartito di Ravel, disegnato sul marciapiede.
Allungo il passo con lo sguardo verso una bandiera tricolore che sventola da un balcone.  Sax e tamburi si rafforzano. Dal pianissimo al forte, con l’illusione di essere meno vulnerabile. Sono tutt’uno con la partitura: anch’io sono uno strumento che vibra assieme agli altri.
Il ritmo cresce con la consapevolezza. La tensione è ossessiva, esplode e si stempera nelle note in tonalità Maggiore. Non fa più paura la solitudine della via. La musica è immensa e infonde nuovo coraggio. Non serve, mi dico, essere spaventati. La paura va affrontata e vissuta, mentre mi lascio cullare dall’armonia semplice e conturbante.
Tutti i fiati sembrano gridare “Coraggio!” al suono grave del grande tamburo. La tensione si alterna ad un senso di pace e speranza.
La marcia, ora, è inebriante. Guardo il cielo, azzurro e senza nubi. Pezzi d’orchestra ripetono le medesime frasi ipnotiche, in un crescendo continuo. Mi torna alla mente uno scritto di Trungpa, uno dei più grandi maestri buddhisti del secolo scorso: “Quando vedete la paura, sorridete”.
Tromboni, tamburi e grancasse. Una carica che toglie il respiro e riempie di fiducia.
Il pensiero “ce la faremo” diviene nota musicale. La potenza sinfonica del finale mi sveglia di colpo dal torpore, mentre mi dirigo sulla via del ritorno a casa, dall’Amore che mi aspetta. Andrà tutto bene.

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