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AL DI QUA DEL CORONAVIRUS

PAURA , TRISTEZZA , SPERANZA
PENSIERI SCRITTI DA RIYADH

di Lupo Lanzara  vicepresidente  Accademia Moda e Costume


Quarantena: Periodo di quaranta giorni: indulgenza di sette anni e sette q.; anche, digiuno di quaranta giorni, fatto per penitenza.  Periodo di segregazione e di osservazione al quale vengono sottoposti persone, animali e cose ritenuti in grado di portare con sé o trattenere i germi di malattie infettive, spec. esotiche; così detto dalla durata originaria di quaranta giorni, che in passato si applicava rigorosamente soprattutto a chi (o a ciò che) proveniva per via di mare….

Che parola.. mai si sarebbe pensato che potesse essere applicabile a tutti, vero? mai si sarebbe pensato che la segregazione sarebbe stata di tutti, nessuno escluso se non per medici, infermieri, farmacisti in prima linea a combattere un male invisibile. Mai si sarebbe pensato che ci sarebbe ritrovati soli con se stessi a fare chiarezza e a conoscerci realmente. Eh si.

All’inizio anche se preoccupati e nel dolore, c’è curiosità per il nuovo “stato”, e quindi via ad informarsi quotidianamente, a scambiare opinioni, a studiare e leggere, agli hashtag e all’arte culinaria, al tempo finalmente di poter stare con i figli o per chi non ne ha di potersi guardare una serie, un film, leggere un libro, mettere ordine in casa, ricongiungersi con gli affetti spinti dalla normale e cristiana preoccupazione della “malattia”… ma poi?… poi passa una settimana, passano due settimane e questa reazione passa in “quarantena” perchè la quotidianità alla seconda o alla terza settimana diventa meno “vivibile”.. le informazioni sono ripetitive e poco chiare e emotivamente struggenti vista la quantità di vite perse, i figli iniziano a stancarsi e a stancare i genitori, le sperimentazioni in cucina smettono di essere entusiasmanti, la casa è perfetta, le serie finiscono i film sono sempre gli stessi e i libri sono stati letti e non si sa come reinventarsi nella quotidianità che è uguale giorno dopo giorno…. per tutti, per chi ha famiglia, per chi è solo, o per come me si ritrova in un paese lontano, chiuso in un albergo a scrivere queste parole mentre la mia mente ed il mio cuore volano all’Italia e ai miei di affetti con le normali angosce di non poter essere vicino a chi si ama in questo momento di difficoltà.

Penso alle parole di Papa Francesco e alla sua omelia e parlandone con un amico ieri e discorrendo sulla “paura” esploravamo il significato della parola “paura”: 1. a. Paura: Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso: più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente.

Uno stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, smarrimento e ansia. Ma quando è che si è diventati insicuri, quando è che di molti si è impadronita l’ansia, quando è che si è smesso di “essere” e si è iniziato ad “apparire”, quando è che la parola “giudizio” è diventata più importante della parola “accettazione” o “compassione”. ...Condivisione uguale ad immagine... immagine uguale a successo che è uguale a status.... che vuole dire tutto ma in realtà non vuole dire niente.

“Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.  (Papa Francesco)

Questo a me fa paura, non perchè mi generi ansia, ma dispiacere. Mi genera dolore, ma un dolore genuino non lacerante, un dolore vero, tristezza, perché attore in prima persona spinto a volta dall’insicurezza o dalla lontananza e/o ancora dalla mancanza di riferimenti e/o dalla volontà di controllo e/o nella manipolazione della vita..

La parola giusta è tristezza, si.. ma genera anche Speranza. Speranza /spe'rantsa/ s. f. [provenz. esperansa, dal lat. sperare "sperare"]. - 1. [sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera: nutrire, infondere s.] ≈ (poet.) speme. ‖ fiducia, ottimismo. ↔ ↑ disperazione. ‖ pessimismo, sfiducia.

Speranza che questo male che ha obbligato a stare a casa possa fare rinascere e far sì che ci sia riaffidi in maniera diversa alla Vita, speranza che nell’obbligo di essere “chiusi” e a volte con “paura”, si possa ritrovare la forza per rendersi conto di chi si è realmente, degli affetti di cui si è circondati, della resilienza che si è dimostrato, della capacità di reinventarsi che si è avuta, della possibilità di poter essere liberi in se stessi e con se stessi.

Speranza nella “gratitudine”, ecco una nuova parola bellissima, gratitudine s. f. [dal lat. tardo gratitudo -dĭnis, der. di gratus «grato, riconoscente»]. – Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare (è sinon. di riconoscenza, ma può indicare un sentimento più intimo e cordiale).

Grati a tutti, ma proprio a tutti, grati alla persona con cui ci si sveglierà accanto quella mattina in cui si potrà uscire perchè tra una risata, un pianto e una discussione se n’è usciti insieme vincitori, grati al barista per il caffè servito la mattina al proprio bar finalmente riaperto, grati alla persona incontrata per strada a cui naturalmente si regalerà un sorriso, grati al collega e al proprio lavoro perchè genera possibilità, grati agli amici che ci sono stati vicini, grati allo Stato per averci protetto, grati ai medici, agli infermieri, farmacisti e a tutti coloro che hanno reso la nostra vita libera una nuova volta, ma questa volta in maniera “consapevole”.

“Consapevole” Informato di un fatto: sono c. di quanto è avvenuto; fare o rendere c., informare, avvertire: rendere qualcuno c. dei rischi, delle difficoltà, delle sue responsabilità; l’ho fatto c. dei pericoli cui può andare incontro.

Finalmente “consapevoli”, di noi e degli altri, della natura che ci circonda e dell’aria che respiriamo, grati, senza paura e liberi inizieremo a vivere, questa volta veramente...

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